Non sono un grande intenditore di film, preferisco sempre un buon libro, ma vorrei sottoporre alla vostra attenzione quanto ho letto:
Il successo dei film catastrofici
Mente&Cervello, Ottobre 2008, n. 46
Lo spettro del terrorismo, il clima che cambia, l'economia in bilico, la furia degli elementi: le catastrofi sul grande schermo sono un mezzo per esorcizzare angosce sociali sempre più diffuse. Di Jean-François Vézina
A rilanciare il genere è stato Independence Day, fantacolosso campione d'incassi del 1996. Poi sono arrivati Twister, Dante's Peak e Deep Impact. In anni più recenti hanno trionfato La Guerra dei Mondi, remake del 2005 di Steven Spielberg, e Poseidon, un classico ripreso da Wolfgang Petersen, mentre qualche mese fa la voglia collettiva di disastri cinematografici è stata soddisfatta da Io sono leggenda e Cloverfield. In questi giorni è in programmazione Doomsday, agghiacciante visione di un'umanità annientata da un virus letale. Non si può certo negare che il film del filone catastrofico abbia ritrovato, dopo i successi degli anni settanta, un nuovo momento di gloria.
Ma perché tanta passione per queste pellicole? Questo genere cinematografico non è affatto neutro: esercita effetti psicologici particolari, e mette allo scoperto precise tendenze e preoccupazioni della società. Innanzitutto i film catastrofici permettono una catarsi al tempo stesso personale e collettiva: quel senso di sollievo e di «purificazione» che, secondo Aristotele, colpisce gli spettatori durante e dopo una rappresentazione drammatica.
C'è però anche un'altra ipotesi: questi film tornano sul grande schermo in periodi critici, per annunciare o rappresentare in forma simbolica le trasformazioni che caratterizzano queste crisi. Sarebbero dunque strumenti essenziali per la presa di coscienza e la migliore comprensione di questi fenomeni.
Allora mi sorge spontanea una domanda: il mondo è veramente in crisi o qualcuno vuole che sia?